LE ANALISI CHIMICHE NON SONO “PROVE”!
Il rigoroso e puntuale rispetto della semantica nell'uso dei termini è essenziale, ma è purtroppo mancato negli ultimi vent’anni, determinando vent’anni di equivoci assai dannosi .
Giocare con i termini significa cambiare i contenuti ed è significativo che proprio le norme ISO nel loro rigore, esordiscano sempre con un articolo dedicato alle "Definizioni" .
Ebbene se andiamo alla originaria ISO 45001, la prima definizione è quella di "Prova" : "operazione tecnica che consiste nella determinazione di una o più caratteristiche di un determinato prodotto, processo, o altro servizio, secondo procedure specificate".
Compare il termine " prodotto", ma non quello di "sostanza"; nè mi si venga a dire che l'estensore di una elencazione così puntuale ed ampia ha voluto risparmiare le parole e considerare il termine prodotto" comprensivo anche del termine "sostanza"; pensiamo a una buona parte degli elementi chimici, ad esempio il sodio, che non sono certo di uso comune come tali, così da poter essere definiti come "prodotto".
Inoltre compare la “determinazione di una o più caratteristiche”; con l'analisi noi determiniamo la "presenza"non la "caratteristica" di una sostanza.
Ancora : la dicitura "procedure specificate" significa predeterminate, cioè le "norme tecniche" fissate convenzionalmente da organismi quali la CE, mentre nel campo delle analisi chimiche esistono "metodi", non “specificati”, bensì ricavati dalla scienza e al massimo validati dalle società scientifiche .
Se poi ci si addentra nella lettura del testo della norma 45001 (e meglio ancora della ISO 17025) ci si rende conto (e l'ho vissuto in prima persona nella gestione del Comitato Chimico Italiano) che essa non è adattabile, anzi è incompatibile, con l'attività di un laboratorio chimico, e ciò non deve stupire perché essa non è nata per questo!
Continuiamo: poiché nel laboratorio chimico non si fanno prove, non si giustifica nemmeno l’uso del termine “rapporto di prova”; uno scritto in cui sono riportati dei dati analitici ed è firmato da un Chimico, costituisce di per sé un certificato di analisi; anzi un Chimico non dovrebbe nemmeno firmare un documento al quale altri possano dare un significato fumoso, di valenza indefinita e che lascia il committente nel vago: è una scorrettezza!
Se poi la mancata esecuzione del campionamento, in quanto eseguito dal committente, limita (ma non annulla!) la valenza del certificato, non bisogna per questo camuffare la cosa etichettandolo come rapporto di prova, perché ciò comporta il lasciare aperta qualsiasi interpretazione arbitraria; bisogna invece chiarire, come in parte già si fa, che “i dati si riferiscono esclusivamente al campione consegnato” dicitura che per la verità è ancora un po’ reticente e andrebbe resa più esplicita, aggiungendo che “ ..poichè il campionamento è avvenuto fuori dal controllo del chimico, la valenza del certificato è limitato all’uso privato del committente e non può essere fatto valere di fronte alla legge o alla pubblica amministrazione”
Così la finiamo col balletto delle argomentazioni arrampicate, fumose ed arbitrarie con cui si cerca di avvallare l’uso improprio del termine rapporto di prova, alzando una cortina fumogena che vorrebbe lasciar intendere una qualche legittimazione dei “laboratori”, che per questo, sono i migliori clienti di Accredia.
10 giugno 2012
dr.Gabriele Ansaloni