L’ACCREDITAMENTO NON RIGUARDA L'ATTIVITA Dl ANALISI CHIMICHE E BIOCHIMICHE
ORDINE DEI CHIMICI CHEMIKERKAMMER
TRENTINO-ALTO ADIGE TRENTINO - SÜDTIROL
PROT. N. 145 b.1 TRENTO, 23 dicembre 2010
L’ACCREDITAMENTO NON RIGUARDA L'ATTIVITA Dl ANALISI CHIMICHE E BIOCHIMICHE
Con l’emanazione del Regolamento EC n.765 del 9 luglio 2008 (recepito con L. n.99 del 07.09) si è finalmente chiarito il significato e la valenza dell’accreditamento, dopo anni di confusione e di uso improprio di una terminologia, che confondeva insieme tra loro le “analisi” con le “prove” e i “certificati” con i “rapporti di prova”.
L’accreditamento sovrintende al rilascio di attestati dl conformità rispetto a norme tecniche armonizzate, (cioè al rilascio del marchio CE) da applicare a manufatti e merci, destinati a circolare liberamente in ambito CE, ed introdotto per tutelare i consumatori utenti nei confronti dei pericoli e dei danni derivanti dal loro uso.
Il rilascio del marchio CE presuppone l’esecuzione sul manufatto in esame, di prove tecnologiche, dall’inglese test, (prove di resistenza meccanica, di misure elettriche etc.) la cui esecuzione e il cui risultato viene attestata dai cosiddetti “rapporti di prova”.
Si tratta di un’attività non “regolata” dalla legge e aperta a soggetti autorizzati, attraverso l’accreditamento da parte di Enti di accreditamento (soggetti privati riconosciuti ciascuno dallo Stato membro di appartenenza), cosi da armonizzare e rendere omogenee le modalità di espletamento delle prove, considerato che Si tratta di metodi frutto di convenzioni codificati dalla CE.
L’emanazione, alla fine degli anni ‘80, delle le norme della serie 45000, da parte degli Enti di normazione, con forte anticipo rispetto all’emanazione nel 2008 del Regolamento che definisce il loro campo di applicazione, ha determinato un vuoto normativo che ha consentito la degenere applicazione di dette norme anche all’attività di analisi chimiche, con grave danno per l’immagine e per l’essenza della professione.
Infatti il caso delle analisi chimiche è tutt’altra cosa, rispetto alle prove; rientrano in una professione cosiddetta “protetta”, cioè regolata da leggi (Costituzione, Cod. Civile, ecc.), riservata ai Chimici abilitati ed iscritti all'Ordine, mentre i metodi analisi seguono percorsi precisi determinati in base alla scienza e non da convenzioni; quindi l’attività del Chimico e già, per cosi dire, “accreditata” dallo Stato, mentre le analisi chimiche sono “validate” dalle società scientifiche.
Parimenti arbitrario è stato definire il “laboratorio” come entità a sé stante (se non quando fa parte di una struttura pubblica); invece nel campo della libera professione, il “laboratorio”, è l’insieme delle attrezzature strumentali e logistiche, in uso al professionista e non è altro che uno studio professionale o una parte di esso; in quanto tale non può avere veste giuridica autonoma e non può essere titolare di legittimazione ad esercitare l'attività professionale e ad intrattenere rapporti con i committenti.
Inoltre va considerato che il legislatore ha voluto “proteggere” queste professioni perché toccano “interessi generali” della società (Salute, Giustizia, Ambiente etc.), facendone attività “non economiche”, collocandole in una sezione del Codice Civile a sé stante e diversa rispetto al Commercio e l’attività d’Impresa.
Affinché Ia tutela degli interessi generali della società sia garantita, sia cioè salvaguardata la “pubblica fede”, il legislatore ha voluto vincolare l’attività professionale al requisito delta “personalità” della prestazione; il cittadino deve cioè avere un rapporto diretto e personale col professionista, affinché si possa instaurare un rapporto fiduciario ed avere la sicurezza che venga tutelato esclusivamente il suo interesse, senza interferenze esterne e magari contrarie, come può capitare quando si trattasse di un soggetto impersonale, quale una ditta o una società imprenditoriale.
In questo modo al professionista verrà assegnata piena responsabilità del suo operato cosa impossibile nel caso in cui il Chimico sia dipendente, perché allora la sua “libertà di giudizio” verrebbe limitata dal fatto di essere sottoposto ad una gerarchia a lui superiore.
In questo caso, alla fine nessuno sarà responsabile e il committente si troverà “scoperto” poiché il certificato di analisi non avrà più il valore “pubblicistico”, che deve invece avere, se necessario, sia sul piano civilistico che penale.
Il titolo legittimante o abilitante ai fini dell’esercizio professionale di Chimico viene rilasciato (al pari di tutte le altre professioni protette) solo dallo Stato ed il suo possesso viene verificato ed attestato dagli Ordini professionali.
L’accreditamento non può invece avere questo valore e le società, cooperative ecc., non possono avvalersene per fornire prestazioni nel campo professionale, nemmeno, per quanto detto sopra, servendosi di professionisti abilitati ad esse in qualsiasi modo legate.
È quindi illegittimo richiedere l’accreditamento, quale requisito per l’attribuzione di incarichi professionali nel cameo della Chimica e della Bio-Chimica; se poi simile richiesta venisse avanzata ad un professionista e fosse motivo discriminante o gli procurasse discredito agli occhi esterni, gli darebbe titolo per una richiesta di danni.
Concludendo ci auspichiamo che qualsiasi futuro intervento sia rispettoso del principi sopra esposti, che hanno visto più volte Ia Corte Costituzionale intervenire in loro sostegno.
f.to
Il Presidente
(dott. Andreas Verde)
38121 Trento - Via V. Zambra, 16 ordine.trentinoaltoadige@chimici.org
Cod. Fis. 800174802221 tel. 0461 825094 fax 0461 829360
( n.di r. – la versione comparsa sul n°5/6-2011 de “il Chimico Italiano" conteneva un errore: nella frase sottolineata nel penultimo capoverso compariva “…E’ quindi legittimo richiedere l’accreditamento quale requisito…”; mancava solo una lettera i che però falsava il senso della frase e dell’intero testo.
L’intervento di una manina furba? A sospettare si fa peccato, ma quasi sempre … si Indovina! )